- USA, Congresso approva nuovi aiuti all’Ucraina
La camera bassa americana approva a maggioranza il nuovo pacchetto di aiuti da inviare a partner stranieri, in particolare all’Ucraina, per un ammontare di denaro pari a 95 miliardi di dollari (60 miliardi all’Ucraina e 26 miliardi a Israele). Un’insolita coesione tra i due partiti ha condotto all’approvazione di questo disegno di legge, grazie anche all’intervento dello speaker repubblicano Mike Johnson, dichiaratamente avverso a Donald Trump, che ha posto all’attenzione del suo partito il fatto che il sostegno a Kiev e Tel Aviv è necessario per impedire agli avversi degli Usa, quali Cina, Russia e Iran di trarre vantaggio dal momento di difficoltà e introversione che sta attraversando Washington, ossia, ha invitato Johnson, non fare scelte che potrebbero rivelarsi all’ultimo controproducenti per gli interessi americani a livello appunto globale. E anche al Senato non è previsto nessuno stop all’approvazione del pacchetto.
- Medio Oriente, possibili sanzioni contro Israele
Washington sta valutando la possibilità di imporre sanzioni a una parte dell’esercito israeliano per violazione dei diritti umani. Di particolare interesse il fatto che diverse file dell’esercito di Tel Aviv che oggi sta combattendo Hamas si compongono di arabo israeliani e ultraortodossi, che, secondo le ultime proiezioni demografiche che riguardano la popolazione dello stato ebraico, dovrebbe rappresentare ormai la maggioranza nei prossimi decenni, archiviando l’originaria dottrina di Israele, quella sionista, quindi importata in Medio Oriente in quanto di derivazione europea essendo askenazita. Aspetto che tra l’altro segna la profonda diversità di vedute tra Stati Uniti e stato ebraico, ma non solo, anche gli strumenti a cui quest’ultimo può attingere per continuare a combattere a Gaza senza ascoltare i caveat americani. Non avendo ricevuto particolari addestramenti da parte statunitense, l’esercito israeliano può acquistare armi con i propri soldi, forte tra l’altro del fatto di essere tra le forze militari meglio preparata al mondo, nonostante quanto accaduto il 7 ottobre.
- Mediterraneo, accordo Italia-Tunisia
Quarantasei attività congiunte nel campo della cooperazione militare sono state al centro dell’accordo siglato tra Italia e Tunisia dai rispettivi ministri della difesa (patto di cooperazione bilaterale 2024); in modo particolare si darà importanza a formazione e addestramento militare cosí come alla condivisione di informazioni. Non si tratta del primo accordo tra i due paesi mediterranei, bensí del quarto in dieci mesi di governo Meloni, siglato dopo la visita del presidente del consiglio italiano a Tunisi insieme al ministro dell’interno Matteo Piantedosi il 17 aprile, a seguito della quale sono stati approfonditi i legami in campo di energia rinnovabile, con attenzione soprattutto al progetto del cavo sottomarino Elmed, economici per quanto riguarda il sostegno attraverso linee di credito alle imprese tunisine e nel campo dell’università e della ricerca, come ad esempio gemellaggi e programmi di studio (già al centro del piano Mattei). Il favore del governo tunisino serve a Tunisi e a Roma per controbilanciare la presenza francese nel Nord Africa, ma è evidente che molto dipenderà dalla voglia del governo di Roma di spendersi in quella parte del Mediterraneo anche dal punto di vista securitario come la capacità del governo di Tunisi di stabilizzare la propria e disastrosa situazione finanziaria. Di particolare importanza agli occhi dell’Italia è però il problema migratorio, non tanto quello finanziario, lasciato per ora in nulla di fatto dal momento che la Tunisia ha preferito sopperire alla mancanza dei fondi che dovrebbero essere destinanti dal Fondo monetario internazionale e Unione europea attraverso vie alternative da parte della sua banca centrale. L’Italia per ora ha preferito sorvolare sulle modalità con cui Saied ha gestito gli ultimi flussi migratori proveniente dall’Africa centrale, ossia col pugno repressivo. Secondo il governo italiano gli sbarchi proveniente dal Nord Africa sono diminuiti del 60% nel 2024, eppure il rischio è che la Tunisia di Saied si comporti come la Turchia di Erdogan, cioè utilizzare i migranti per mettere pressione sui governi europei qualora questi non vogliano accettare determinate condizioni. Serve quindi una regia ed iniziativa comune complessiva per la sicurezza energetica, migratoria e finanziaria, con strutture istituzionali che nascano a livello di Unione europea cosí da appianare dissensi e concretizzare interessi comuni, ad esempio quelli tra Italia e Francia.