Se Umberto Eco si fosse occupato del mondo di Bacco, quando ha scritto il suo “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” avrebbe potuto aggiungere accanto al paese di Cuccagna, Atlantide o Eldorado anche la città ideale della Fratellanza del Vino.
Un luogo al di fuori delle coordinate geografiche, dove il succo d’uva unisce coloro che lo bevono e fa regnare la pace sociale perché il vino accompagna l’ospitalità, predispone alle relazioni, favorisce lo scambio di idee, aiuta a fare affari insieme, celebra i sodalizi e promuove la gioia di vivere, ovviamente se consumato sapientemente e senza eccessi.
Seduti alla stessa tavola, davanti a un buon bicchiere di vino, è più facile condividere le proprie culture, le proprie storie e le proprie esperienze, conoscersi e trovare punti in comune, fare progetti e alleanze, partecipando ovunque e in ogni tempo alla universale Fratellanza del vino. Non fa eccezione la Sardegna, che ha mantenuto nelle sue tradizioni alcuni rituali che rendono fratelli di vino coloro che li mettono in atto.
Viene in mente il singolare appuntamento del Mercoledì delle Ceneri a Ovodda, dove chiunque si presenta nella piazza principale del paese deve non solo lasciarsi tingere il viso di nero, ma deve anche bere il vino che gli viene offerto per strada con bottiglie e bicchieri.
È un fraternizzare con il vino che aiuta a creare un’allegria socievole in cui tutti si relazionano con gli altri pur senza conoscersi, tutti si sentono parte della stessa festosa anarchia, si salutano, si fanno foto collettive, si vive insieme un clima positivo e gaudente nell’attesa di processare e bruciare il fantoccio del tiranno Don Conte, come a condividere l’euforica ebbrezza di una società di eguali, di benessere collettivo, di unione di intenti.
Un bere in fratellanza che richiama anche il mondo delle antiche confraternite studentesche europee, come quelle tedesche in cui vigeva l’usanza del cosiddetto “Schmollis antragen” (dal latino “sis mihi mollis amicus” cioè “Sii mio amico!”) Nelle connessioni individuali, uno “Schmollis” (e quindi il bere insieme) non poteva essere rifiutato perchè sarebbe stato preso come un insulto e perciò la risposta di rito era “Fiducit!”, forma abbreviata di “fiducia sit”, ossia “è valido”, dal latino fiducia, che nel lessico legale indica il pegno, la garanzia, il patto stipulato.
Un altro rituale perpetuato in Sardegna con il vino è quello chiamato “Sa mesa de Santu Anni” (il tavolo di San Giovanni) per la festa di fine luglio in onore di san Giovanni Battista a Quartu Sant’Elena. Lo scopo di questo rituale è il passaggio di consegne fra il vecchio organizzatore e quello nuovo, l’obriere uscente e quello entrante.
Si tratta di una cerimonia che risale al 1600, per mezzo della quale viene scelto il nuovo obriere alla presenza degli obrieri delle precedenti edizioni che si passano il vino. Oltre alla presentazione pubblica di colui che deve prendere il timone, c’è anche il rinnovo dell’impegno degli altri a fare la propria parte, perché sa Cumpangia de s’obbreri (la Compagnia degli obrieri) supporterà s’obbreri nella gestione dei trabballus de Santu Anni (i lavori per San Giovanni) che dureranno un intero anno.
Un incarico e un sodalizio suggellati con il vino per mettersi al servizio della città, che vive in modo molto sentito questa festa caratterizzata da un ricchissimo apparato cerimoniale e scenografico da preparare e organizzare con molta cura.
Un altro esempio ancora più antico di Fratellanza del vino riguarda l’estremità sud-ovest della Sardegna e mette insieme la cittadina di Sant’Antioco, chiamata Sulky durante il periodo fenicio-punico, e il mondo mediorientale e mediterraneo dell’epoca.
In quel contesto il vino aveva il ruolo di affratellare eminenti personalità di popoli diversi che partecipavano allo stesso banchetto, creando un vincolo sacro e indissolubile tra di loro: era la pratica della “Marzeah”.
I membri della Marzeah ricevevano una tessera ospitalis, di solito in avorio, che dava asilo, ospitalità, protezione e libero accesso alle riunioni in tutti i luoghi dove era presente questo tipo di fratellanza, come ad esempio in Siria, a Cipro e anche a Roma.
Proprio a Roma è stata ritrovata, durante gli scavi archeologici nell’area portuale sul Tevere, una tessera della Marzeah con la scritta Silketenas che indica la provenienza del suo proprietario: un Sulcitano della città di Sulky, fratello di vino dell’isola sarda, in viaggio nella capitale dell’impero romano.
Tre modi diversi di vivere la fratellanza del vino in una terra che conosce questa bevanda fin dall’età nuragica, come ha indicato il ritrovamento di un acino di uva da vino di 3000 anni fa, presentato all’Expo 2015.
Una lunga storia di condivisioni, alleanze, feste e unioni. O come dice il sommellier Claudio Fabrizio con una sintesi suggestiva: “Ai fratelli e agli amici di ieri, di oggi e di domani uniti e nutriti dallo stesso sangue, quello di Dio: il vino”.
Immagine: Consommation de pain et de vin, Livre du roi Modus et de la reine Ratio, XIV siècle, Bibliothèque Nationale de France.